Merit Ptah, le antiche radici della figura femminile nel campo della medicina

È doveroso fare una breve annotazione.

Quando parliamo di medicina non dobbiamo pensare a quella che intendiamo noi oggi; la medicina delle origini faceva largo uso di massaggi, mentre i farmaci venivano preparati con numerose sostanze e principi attivi ricavati dal regno animale, vegetale e minerale, senza dimenticare il largo uso di unguenti e cosmetici di origine naturale.

Inoltre i trattamenti si svolgevano tra pratiche religiose e riti propiziatori, sotto gli auspici divini. Non esisteva una netta distinzione di ruoli tra magia, medicina e pratica sacerdotale: Merit Ptah / Peseshet e le altre donne medico dell'antichità erano, soprattutto, delle donne libere, emancipate e autorevoli, molto rispettate per l’importante funzione che ricoprivano all'interno della società.

Convenzionalmente, la prima donna medico riconosciuta nella storia risponde al nome di Merit Ptah che significa “amata da Ptah”, il dio creatore di tutte le cose.

Secondo la ricostruzione che va per la maggiore, visse probabilmente 2700 anni prima di Cristo, ma la sua identità e la sua esistenza sono tuttora oggetto di discussione. Quello che è importante sottolineare è che le informazioni che ci sono pervenute ci permettono di avere una panoramica sulla condizione della donna nell’antico Egitto, che in molti casi godeva di un’emancipazione straordinaria.

Le donne potevano studiare e come gli uomini, diventare scribi o medici (sono oltre un centinaio le donne medico egizie di cui si ha notizia, fra le quali molte ostetriche), aprire attività commerciali e imprenditoriali, possedere terreni, stipulare contratti di lavoro raggiungendo importanti posizioni sociali.

Come accennato, in merito alla figura di Merit Ptath c’è un equivoco o forse un fraintendimento; vediamo di ricostruire.

Nell’arco di 2500 anni – tra l’Antico regno e il Periodo tardo – si contano circa 150 curatori riconosciuti.

Tra questi c’è la figura di Peseshet, vissuta durante IV dinastia dell’Antico regno (2620-2500 a.c.) e riconosciuta come “somma medica” e “responsabile delle guaritrici”. Ciò ci fa capire che non fosse l’unica, anche se è la prima di cui si ha una testimonianza tangibile perché il suo nome compare a Saqqara nel 2400 a.C. nella tomba del figlio Akhet-Hetep, un ufficiale che aveva anche titoli religiosi. Sulla stele dedicata alla madre si legge: «Ha raggiunto un’età molto avanzata conquistando onore di fronte al grande dio».

Succede che nel 1938 una storica della medicina, nonchè medico, Kate Campbell Hurd-Mead, pubblicò nel 1938 il suo trattato A History of Women in Medicine: From the Earliest of Times to the Beginning of the Nineteenth Century”.

Lo studio mirava a riabilitare la figura femminile nella medicina, ripercorrendo le storie di donne che nei secoli avevano dato il proprio contributo in questo campo.

Nel suo lavoro indicò Merit Ptah come la prima dottoressa della storia, aggiungendo che fu madre di un personaggio di alto rango, probabilmente un sommo sacerdote, sepolto nella Valle dei Re. L'iscrizione trovata nella tomba di quest’ultimo cita effettivamente la madre chiamandola "Merit Ptah", ma molto probabilmente non si trattava di un nome proprio, bensì di un appellativo ("amata dal dio Ptah").

Questa ricostruzione viene confutata da un altro storico della medicina Jakub M.K. Wiecinski, il quale, in un articolo pubblicato sul Jurnal of History of Medicine and Allied Sciences suggerisce l’ipotesi di uno scambio di persona.

Questo perché il nome di Merit Ptah, afferma Wiecinski, non compare nelle liste dei guaritori dell'Antico Egitto, e nemmeno in quella delle amministratrici dell'epoca dell'Antico Regno (2575-2150 a.C.), periodo in cui sarebbe vissuta Merit Ptah.

Un'altra figura dell'epoca mostra invece numerose somiglianze con la presunta guaritrice: il suo nome è Peseshet, una donna la cui immagine venne ritrovata, come detto, nella tomba del figlio. Madre di un sommo sacerdote, Peseshet viene definita "capo delle guaritrici".

Secondo Wiecinski si tratterebbe quindi di uno scambio di identità: «Hurd-Mead nel suo libro ha fatto confusione tra le due donne, scambiandone i luoghi di sepoltura e gli anni in cui sarebbero vissute», afferma l'esperto.

Come sottolineato da Wiecinski, di Merit Ptah non c'è traccia documentata: la citazione di Hurd-Mead deriva probabilmente da un libro consultato dalla studiosa, che associa il suo nome alla figura di Peseshet.

Questa diatriba però non toglie importanza al messaggio incarnato da queste figure femminili, che ci fanno riflettere su un modello di parità paragonabile a quello attuale, anche se ad oggi permangono ancora dei limiti e passi in avanti da fare.

Come accennato più sopra, vediamo che nell’Antico Regno la donna godeva di una condizione privilegiata per l’epoca, equiparabile a quella maschile sia dal punto di vista giuridico sia sociale. Ciò si verificava specialmente nelle classi medio-alte della società, e in particolare nei lunghi periodi di stabilità monarchica. La suddivisione delle mansioni professionali si basava in parte sul genere: la donna era dedita alla cura della casa e della persona (per esempio, i figli dei re erano esclusivamente accuditi da nutrici appartenenti alla nobiltà), ma ciò non escludeva occupazioni di altro tipo, in ambito artigianale e commerciale.

Lo stesso vale per il Medio Regno, in cui si contano almeno quattro donne scriba (quindi istruite), mentre tra i dipinti che decorano il tempio di Karnak non è raro scorgere sacerdotesse impegnate in pratiche religiose. Come ricorda Bernadette Menu, archeologa ed egittologa, nel saggio La condition de la femme dans l'Egypte pharaonique, le donne appartenenti al ceto medio potevano lavorare in autonomia come artigiane, possedere beni, terreni e proprietà, che potevano vendere o comprare senza bisogno della mediazione di un uomo. Nonostante il ruolo ideale della donna fosse quello di sposa, i diritti della consorte perduravano anche dopo il matrimonio, cosi come la possibilità di disporre dei propri averi, che potevano riacquistare in caso di divorzio.

Testimonianza della condizione della donna si riscontra anche nell’arte egizia. Al di là dei caratteri somatici legati al sesso, le figure maschili e femminili hanno dimensioni pressoché identiche: si distinguono piuttosto per il colore della pelle (più chiara per le donne e più scura per gli uomini) che allude alle diverse mansioni quotidiane. Spesso raffigurati in coppia (la famiglia era più pilastro della società egizia) non è raro scorgere la donna proteggere e abbracciare l’uomo, quasi volesse accompagnarlo, ma senza stare un passo indietro.

L’autonomia femminile che caratterizza l’antico Egitto persiste fino alle prime conquiste persiane e macedoni. La successiva contaminazione culturale porterà la donna a ruoli di secondo piano, allontanandola dalla scienza e dalla possibilità di ritagliarsi spazio tra i nomi di chi tramanda la storia. 

Al di là del qui pro quo, personaggi come Merit Ptah / Peseshet ricordano un passato diverso in cui la figura femminile e il suo ruolo sociale non subivano compressioni o limitazioni.